top of page
  • Immagine del redattorecascinamariet

Lettera a un docente del futuro


Caro collega del 2040,

sei appena entrato nella scuola ed hai tutto l’entusiasmo del neofita e la gran voglia di fare, ti auguro una bellissima carriera, ricordandoti che facciamo il mestiere tra i più belli del mondo. Voglio raccontarti però cosa mi capitò nel 2020, durante i primi mesi, anno che, nella mia carriera scolastica non dimenticherò mai più. In poco tempo un virus, il COVID 19, limitò tutte quante le nostre vite: per non essere contagiati in massa fummo costretti a restare a casa e a lavorare da casa con la Didattica a Distanza. Ti invito a leggere ciò che ti scrivo, perché quell’esperienza così drammatica e dolorosa mi fece tornare al senso del mio lavoro che avevo un po' dimenticato, preso dalla routine quotidiana e mi cambiò come persona, come uomo e come professionista.

Non sapevamo cosa dire di fronte a ciò che stava avvenendo, eravamo veramente disarmati. Guardavamo in videocall i nostri ragazzi che parevano chiederci parole di conforto e noi, nell’imbarazzo quasi totale di chi non è abituato alle video lezioni, ci limitavamo a chiedere se stavano bene e se avevano inviato i compiti. Se ci ripenso ora, un po' mi vergogno, un po' sorrido, per quanto fragili eravamo davanti alla tragedia che scorreva fuori dalle nostre case. La gente moriva ogni momento e noi stavamo a controllare quanti lavori dei ragazzi avevamo ricevuto e a preoccuparci di averne uno da inviare ogni settimana, quando invece loro avevano bisogno di educatori che donassero loro parole buone o opportunità anche formative che potessero rendere le loro giornate da reclusi un po' più leggere.

Leggevamo le loro mail che ci chiedevano a gran voce quando sarebbe tornata la normalità e rispondevamo dicendo che avevano eseguito un buon lavoro, perché non trovavamo le parole giuste da dire perché mai avremmo pensato che questa situazione ci sarebbe piombata addosso. Tanti ragazzi non potevano vedere da mesi i nonni, che erano stati i loro riferimenti per anni, e alcuni morivano senza un saluto e noi mettevamo un’insufficienza, che però non faceva media, sul registro perché non rispettavano i tempi di consegna. Tante famiglie dei nostri ragazzi rischiavano di non avere più un lavoro o di finire in una cassa integrazione interminabile e noi ci arrabbiavamo se dal ministero ci comunicavano che avremmo dovuto promuovere tutti. La gente doveva riorganizzare la giornata perché si doveva uscire solo per problemi seri o esigenze effettive e noi ci preoccupavamo di intensificare le video lezioni altrimenti si restava indietro con il programma, che poi già allora nella teoria non esisteva più, ma c’erano solo le indicazioni.

Tutto questo, caro collega, lo facevamo in buona fede, perché non avevamo mai lavorato in queste modalità e non avevamo mai affrontato una situazione d’emergenza come quella che ci capitò allora. Però “anche dalle ceneri possono nascere dei fiori”; perché da quell’esperienza tornammo ad imparare molto. Finalmente vedemmo la nostra scuola come una comunità educante e non come una mera fabbrica di programmi e progetti; vedemmo il nostro ruolo come un punto di riferimento importante per la crescita globale dei nostri ragazzi e non solamente per dar loro contenuti disciplinari; vedemmo prima di tutto la vita dei nostri ragazzi piuttosto che il loro profitto. Imparammo a comprendere che ci sono delle priorità e che non importa se la nostra progettazione iniziale non la riusciremo a portare a termine perché i nostri ragazzi con i loro interessi ci guidano in altre direzioni. Imparammo a conoscere la profondità dei nostri alunni che, anche se non ricordavano a memoria una data, una formula o una poesia erano in grado di formulare pensieri importanti sul mondo, sulla realtà e sulla vita. E allora questo scritto prendilo un po' come un consiglio, perché hai in mano una parte importante della vita dei ragazzi e sì anche un po' delle loro famiglie. Ricorderanno molto di più un docente attento alla loro persona, che scrupolosamente preciso sulla sua disciplina. Ti ho scritto questo perché ti voglio bene, come voglio bene alla scuola e voglio, per lei, solo il bene.

Prof. Ale 4 aprile 2020

48 visualizzazioni
bottom of page